Legenda Aurea San Lorenzo

"Legenda aurea": San Lorenzo
(Estratto da Jacopo da Varazze: "Legenda aurea".)
La Legenda Aurea è una raccolta di biografie agiografiche di origine medioevale, scritta in latino da Jacopo da Varazze (o Varagine), che fu frate domenicano e vescovo di Genova. Jacopo si occupò della compilazione della Legenda Aurea all'incirca dal 1260, e la portò avanti fino all'anno della sua morte, avvenuta nel 1298. Si tratta di un'opera che nel corso dei secoli, e ancora oggi, è risultata indispensabile per l'interpretazione della simbologia e dell'iconografia presenti all'interno delle opere religiose di stampo sacro.

IAndò a casa di una vedova che aveva tenuti nascosti molti
cristiani; quella vedova soffriva d'un mal di testa che ormai da molto
tempo non le andava via: san Lorenzo la liberò dal mal di testa
imponendole le mani; lavò poi i piedi a dei poveri e a ciascuno di loro
lasciò elemosina. In quella stessa notte passò in casa di un cristiano, e
lì trovò un cieco: fatto un segno di croce, gli restituì la vista.
Nel
frattempo san Sisto non volle consentire a Decio, né volle sacrificare
agli idoli, e Decio allora dette ordine di tagliargli la testa. Mentre
lo stavano portando al supplizio, san Lorenzo lo seguiva gridando:
– Non abbandonarmi, santo padre! Ho già speso tutti i soldi che mi avevi affidato!
I
soldati, sentendo nominare i tesori, trattennero Lorenzo e lo portarono
al tribuno Partemio; questi lo portò davanti a Decio, e l'imperatore
gli disse:
– Dove sono i tesori della Chiesa che sappiamo tieni nascosti?
Lorenzo
però non rispondeva, e allora Decio lo affidò al prefetto Valeriano o
per fargli rivelare dove si trovavano i tesori, oppure per farlo
sacrificare agli idoli; altrimenti l'avrebbe fatto morire tra torture
d'ogni tipo. Valeriano tuttavia lo portò da un prefetto di nome
Ippolito, il quale rinchiuse in prigione Sisto con molti altri.
C'era
lì in prigione un pagano di nome Lucilio, che aveva perso la vista a
forza di piangere. Alla promessa di san Lorenzo di restituirgli la
vista, a patto che credesse in Cristo e ricevesse il battesimo, Lucilio
chiese subito con sicurezza il battesimo. Lorenzo prese l'acqua e disse:
– Tutto si lava professando la fede.
Gli
pose domande su ciascun articolo della fede, ed egli dichiarò di
credere in ciascuno di essi: gli infuse allora sul capo l'acqua e lo
battezzò in nome di Cristo, e subito il cieco riebbe la vista.
Per questa ragione molti ciechi venivano a lui e se ne partivano -Mariti. Visto quanto accadeva, Ippolito gli disse:
– Mostrami i tesori.
Ippolito, – gli rispose Lorenzo, – se vorrai credere in Gesù Cristo ti mostrerò i tesori e ti prometto anche la vita eterna.
– Se sei capace a far corrispondere i fatti alle parole farò quel che vuoi farmi fare.
E cosi in quel momento Ippolito credette e ricevette il battesimo con tutta la sua famiglia. Appena battezzato disse:
– Ho visto le anime degli innocenti piene di gioia!
Valeriano fece dare disposizione a Ippolito di portargli Lorenzo. In quel momento Lorenzo gli disse:
– Andiamo assieme, che la gloria attende me con te.
Giunsero
tutti e due al tribunale, e lì riprese l'interrogatorio sui tesori;
Lorenzo chiese una sospensione di tre giorni, e Valeriano gliela
concesse, sotto la responsabilità di Ippolito. Lorenzo approfittò dei
tre giorni per raccogliere poveri zoppi e ciechi e li presentò a Decio
al palazzo sallustiano e disse:
– Ecco, questi sono i nostri tesori:
sono tesori eterni, non vengono mai meno, anzi crescono. Sono
distribuiti a ciascuno, e tutti li hanno: sono le loro mani a portare al
cielo i tesori.
Valeriano allora al cospetto di Decio disse:
– Basta con i discorsi! Sacrifica subito agli dèi, e smettila con le me magie.
Lorenzo obiettò:
– Chi mai dovrebbe essere adorato, chi fa o chi è stato fatto?
Decio
allora lo fece battere con le fruste piombate e gli fece mettere
davanti agli occhi ogni genere di strumento di supplizio. Gli disse di
sacrificare agli dèi, almeno per evitare quelle torture, ma Lorenzo gli
disse:
– Poveretto! Proprio questo è il cibo di cui son ghiotto!
–
Se proprio ti piacciono queste cose, – disse Decio, – fammi .sapere chi
sono gli infedeli che la pensano come te, che invito anche loro a
questa cena.
– I loro nomi, – gli rispose Lorenzo, – sono già scritti in cielo, e tu non sei degno del loro sguardo.
Decio allora lo fece spogliare e frustare, poi gli fece posare sui fianchi delle lame incandescenti, e Lorenzo disse:
–
Signore Gesù Cristo, Dio figlio di Dio, abbi pietà di me, il tuo servo!
Accusato non ho rinnegato, interrogato ho proclamato che sei il
Signore!
Decio allora gli disse:
– So bene che tu riesci a
sfuggire al dolore con le tue male arti magiche, ma non riuscirai a
sfuggire a me! In nome degli dèi e delle dee, se non sacrificherai ti
faremo punire con le nostre torture!
Lo fece picchiare ancora con le fruste piombate, ma Lorenzo ancora pregò dicendo:
– Gesù Cristo, accogli il mio spirito!
Si udì allora una voce dal cielo che diceva:
– Ancora molte sono le battaglie che ti attendono.
Decio infuriato esclamò:
–
Romani, signori, avete sentito i demoni che confortano questo
sacrilego, che non venera i nostri dèi, non ha avuto paura delle
torture, e neppure teme l'ira dei polenti!
Lo fece ancora frustare,
ma Lorenzo sorrise e ringraziò, pregando anche per i presenti. In quel
momento un soldato, di nome Romano, credette e disse a Lorenzo:
–
Vedo un giovane bellissimo che sta in piedi davanti a te, e ti pulisce
con un panno di lino le membra ferite. Ti scongiuro, per Dio, non
lasciarmi, battezzami, presto!
Allora Decio disse a Valeriano:
– Credo che ci abbia vinti con le sue magie.
Lo
fece slegare dal letto di ferro cui era stato legato, e rin-chiudere di
nuovo sotto la custodia di Ippolito. Romano accorse portando un orcio
d'acqua, si gettò ai piedi di Lorenzo ed ebbe da lui il sacro battesimo.
Appena Decio se ne accorse, fece battere Romano con le verghe, e quando
apertamente si proclamò cristiano fu decollato. Nella notte stessa
Lorenzo fu portato da Decio. Ippolito piangeva e voleva gridare d'essere
cristiano:

I– Nascondi piuttosto Cristo nel fondo del tuo cuore d'uomo. Quando ti chiamerò, tendi l'orecchio, e vieni!
Furono portati tutti gli strumenti di tortura e allora Decio disse a Lorenzo:
– O sacrifichi agli dèi, o la notte ti passerà in mezzo a queste torture.
– La mia notte, – gli rispose Lorenzo, – non ha buio: tutto mi è chiaro nella luce.
– Portate il letto di ferro, – disse Decio, – e che ci dorma dentro quest'insolente Lorenzo!
Gli
aguzzini lo spogliarono e lo distesero sulla graticola di ferro, misero
sotto la brace accesa, e lo assestarono sulla griglia con forconi di
ferro. Ma Lorenzo disse, rivolto a Valeriano:
– Sappi, sciagurato,
che i tuoi carboni mi rinfrescano, mentre stanno preparando per te
l'eterno tormento: il Signore infatti lo sa che non l'ho rinnegato
quando mi hanno accusato; quando mi hanno interrogato ho professato la
fede di Cristo: e ora che mi arrostiscono, lo ringrazio.
Poi sorrise e disse rivolto a Decio:
– Ecco qua, poveretto, hai arrostito una parte; ora rivoltami dall'altra, e poi mangiami.
Rese poi grazie e disse:
– Ti ringrazio, Signore, che mi hai concesso di entrare nelle tue porte.
E
dette queste parole emise lo spirito. Decio ne restò confuso e se ne
andò con Valeriano al palazzo di Tiberio, lasciando il corpo di Lorenzo
sul fuoco. La mattina lo prese e lo portò con Giustino al campo del
Verano, dopo averlo cosparso d'aromi. I cristiani ne celebrarono le
vigilie digiunando per tre giorni, fra singhiozzi e pianti.